martedì 2 gennaio 2018

Viktor Orbán: Dobbiamo difendere la cultura cristiana dell’Europa


È stato pubblicato sul quotidiano “Magyar Idők”, prima di Natale, l’articolo del primo Ministro d’Ungheria Viktor Orbán dal titolo “Dobbiamo difendere la cultura cristiana”. Sul sito del Governo ungherese è consultabile in traduzione inglese, mentre qui ne offriamo un estratto in italiano.

 

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Dobbiamo difendere la cultura cristiana

di Viktor Orbán

 

Noi, europei viviamo, che lo ammettiamo o meno, in modo cosciente o meno, in una civiltà ordinata secondo gli insegnamenti di Cristo. Vorrei citare la nota sentenza del fu József Antall, già primo ministro d’Ungheria: in Europa persino l’ateista è cristiano. (…)

Nel Vangelo secondo Marco il secondo comandamento di Cristo suona così: “Ama il tuo prossimo come te stesso”. Sono in molti a citare oggi in Europa questo comandamento di Cristo. E vogliono rinfacciarci che nonostante ci confessassimo cristiani non vogliamo e non permettiamo l’insediamento in Europa di milioni di persone provenienti da altri continenti.

Dimenticano però l’altra parte del comandamento, eppure questo insegnamento è composto di due parti: dobbiamo amare il prossimo ma dobbiamo amare pure noi stessi. Amare noi stessi vuol dire anche di accettare e difendere tutto ciò che noi siamo. Amare noi stessi vuol dire di amare la nostra patria, la nostra nazione, la nostra famiglia, la cultura ungherese e la civiltà europea. È in questo contesto che la nostra libertà, la libertà ungherese si è sviluppata e potrà svilupparsi ancora. (…)

Quando fissiamo i limiti della nostra identità indichiamo nella cultura cristiana la fonte del nostro orgoglio e la forza che ci sostiene. Il cristianesimo è cultura e civiltà. Viviamo in esso. Non si tratta del fatto quanti ci vadano in chiesa o quanti preghino in modo sincero. La cultura è una realtà quotidiana: come parliamo, come ci comportiamo tra di noi, quanta distanza manteniamo o quanto ci avviciniamo tra di noi, come entriamo e come lasciamo questo mondo. Per gli europei è la cultura cristiana a determinare la morale quotidiana. In situazioni limite è questa che ci fornisce metro di valutazione e direzione. È la cultura cristiana a guidarci tra le contraddizioni della vita, a determinare il nostro modo di pensare sulla giustizia e sull’ingiustizia, sul rapporto tra uomo e donna, sulla famiglia, sul successo, sul lavoro e sull’onore.

La nostra cultura è la cultura della vita. Il nostro punto di partenza, l’alfa e l’omega della nostra filosofia di vita è il valore della vita, la dignità di ogni persona ricevuta da Dio. Senza ciò non saremmo in grado di apprezzare neanche i “diritti dell’uomo” e altri simili concetti moderni. È per questo che ci chiediamo se quest’ultimi siano esportabili nella vita di altre civiltà, costruite su diversi pilastri.

Le fondamenta della vita europea ora sono sotto attacco. (…) Non vogliamo che i nostri mercatini di Natale debbano cambiare nome, e ancor di meno vogliamo ritirarci dietro a dei blocchi di cemento. Non vogliamo che i nostri figli siano privati dalla gioia dell’aspettare San Nicola e gli angeli. Non vogliamo che ci tolgano la festa della Risurrezione. Non vogliamo che le nostre solenni celebrazioni religiose siano accompagnate da preoccupazione e paura. Non vogliamo che nella folla festosa di Capodanno le nostre donne, le nostre figlie siano molestate.

Noi europei siamo cristiani. Tutto ciò è nostro, è così che viviamo. per noi finora è stato naturale che Gesù nasce, muore per noi sulla croce e poi risorge. Le nostre feste sono per noi ovvie e ci aspettiamo da esse che diano un senso al quotidiano. La cultura somiglia al sistema immunitario del corpo umano: finché funziona non ci si accorge neanche. Ci si accorge e diventa importante quando esso s’indebolisce. Quando le croci vengono cancellate, quando dalla statua di papa Giovanni Paolo II vogliono togliere la croce, quando vogliono che cambiassimo il nostro modo di celebrare le nostre feste allora i cittadini europei perbene se la prendono. Persino quelli il cui cristianesimo, per dirlo con il poeta Gyula Juhász, è “un paganesimo all’acqua santa”. Ma anche quanti, come Oriana Fallaci, si preoccupano per l’Europa da “atei cristiani”.

In questo momento ad essere sotto attacco sono le fondamenta della nostra vita, del nostro mondo. Il sistema immunitario dell’Europa viene coscientemente indebolita. Vorrebbero che non fossimo più quelli che siamo. Vorrebbero che diventassimo ciò che non vorremmo essere. Vorrebbero che ci mescolassimo con popoli venuti da altri continenti e, per rendere meno problematico il processo, a cambiare dovremmo essere noi. Al lume delle candele del Natale si vede benissimo che attaccando la cultura cristiana intenderebbero anche distruggere l’Europa. Vorrebbero toglierci il nostro modo di vivere e vorrebbero farcelo cambiare con qualcosa che non è il nostro. (…)

Non possiamo certo affermare che la cultura cristiana sia la più perfetta. Ma la chiave della cultura cristiana è proprio questa: siamo coscienti dell’imperfezione, pure della nostra propria imperfezione, ma abbiamo imparato a conviverci, a trarne ispirazione e forza. È per questo che noi europei ci sforziamo da secoli a migliorare il mondo. Il dono dell’imperfezione consiste proprio nella possibilità di migliorare. È anche questa possibilità che ci vorrebbero togliere quanti, con la promessa di un bel mondo nuovo mescolato vorrebbero distruggere ciò che i nostri avi hanno difeso, se necessario, col proprio sangue, e che proprio per questo noi abbiamo il dovere di tramandare come eredità. (…)

L’anno 2017 ha posto una sfida storica ai paesi europei. Le nazioni europee libere, i governi nazionali eletti da cittadini liberi hanno ora un nuovo compito: devono difendere la cultura cristiana. Non tanto contro qualcun’atro, ma piuttosto in difesa di noi stessi, delle nostre famiglie, delle nostre nazioni, dei nostri paesi e di un’Europa “patria delle patrie”.

 


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